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I Gas compiono trent’anni: non solo cibo ma palestre di democrazia

di Massimo Acanfora — 1 Maggio 2024

gas 

Nel 1994 è nato il primo Gruppo di acquisto solidale. Cittadini e cittadine visionarie di Fidenza (PR) hanno cambiato il modo di fare la spesa. Pratiche che resistono ancora oggi, generando processi di “benevolenza condivisa”

Tratto da Altreconomia 270 — Maggio 2024

“Ma questi sono zù d’bîrla” (cioè fuori di testa) avrà pensato più di un cittadino di Fidenza (PR) quando trent’anni fa, un manipolo di famiglie fidentine, cambiando il proprio modo di fare la spesa quotidiana, gettò il seme di un cambiamento più profondo, la primavera dell’economia solidale. Racconta questa storia mettendo l’accento sulla dimensione collettiva Mauro Serventi, tra i pionieri fondatori del Gruppo d’acquisto solidale (Gas) Fidenza e del movimento “gasista” italiano: “Nonostante ne veda i limiti, la considero un’esperienza entusiasmante.

In primis perché è stata l’occasione di incontrare e conoscere la gente dell’economia solidale, una ricchezza inestimabile: lavorare per generare processi di inclusione e di trasformazione, anche nel piccolo, dà senso alla vita”. Tutto bene quindi? “Non proprio. Abbiamo ancora molto da imparare, dalla nostra stessa storia -spiega Mauro-. Il limite più evidente è che il mondo dell’economia solidale non è immune da forme di individualismo. Facciamo fatica a fare un passo indietro, ma per essere capaci di esprimere e generare dei processi collettivi, bisogna mettere da parte l’orgoglio”.

Anche per questo è nato “Effetto Gas. Liberiamo il sogno”, un percorso che prende le mosse a maggio 2023 dalla prima edizione di Solidalia a Parma e che ha coinvolto una quarantina di gruppi di acquisto e altre reti dell’economia solidale per capire se il terreno su cui sono cresciuti i Gas abbia ancora un humus fertile e quali sogni covino sotto la realtà presente. Quasi una seduta di autocoscienza collettiva: “Bisogna superare l’idea del ‘giusto’ come affermazione personale -continua Mauro-. Non si va oltre i limiti anagrafici, strutturali, logistici e comunicativi di cui soffrono i Gas giocando a ‘chi ha più ragione’, ma instaurando relazioni. Il mercato ci propone un modello di società dove vince solo chi ha potere: noi invece dobbiamo continuare a generare percorsi condivisi, luoghi d’intenti -come il condominio solidale dove vivo- che si fondano su processi di ‘benevolenza condivisa’. Sono convinto che questo sia il significato della ‘Sì’ di solidale”. I Gas diventano così una grande metafora del divenire di un’economia ‘altra’”. Chiosa Mauro: “Non sono solo importanti il risparmio o la scelta dei prodotti. Ma il desiderio di una società in cui pensarsi insieme, e fare diventare questo sogno prassi e vissuto. Tutto il resto è secondario”.

Un punto di vista eterodosso è quello di Franco Ferrario, esperto di change management e sostenibilità d’impresa, già appassionato presidente di Aequos, cooperativa di Gas lombardi e piemontesi con natali a Saronno, e oggi consigliere della Rete italiana per l’economia solidale (Ries). Ferrario non vede solo luci e ombre nella storia e nel presente dei Gas, ma mille sfumature. “Sono per molti versi una storia di successo -spiega Ferrario-. Lo dicono i dati di realtà. La spesa con un gruppo d’acquisto solidale ben organizzato è davvero molto più sostenibile di quella fatta al supermercato, retribuisce meglio i produttori e consuma meno risorse. I produttori sono già ‘realtà Esg’, attente ad ambiente, società e governance, e il sistema una volta messo a regime è molto più efficiente della distribuzione tradizionale e -come dimostrato durante la pandemia da Covid-19- anche più sicuro. In molti casi più conveniente di un supermercato”.

Ma i numeri non suffragano queste evidenze. Perché non siamo “vincenti”? si chiede Ferrario. Ai sei Gruppi d’acquisto solidale di Saronno partecipa l’1% della popolazione. “Si sconta una questione di mentalità: salvo eccezioni i Gas non si pongono l’obiettivo di crescere e di diffondere il proprio modello”. In che modo crescere, piccolo non era bello? “Per ‘liberare’ i produttori dall’economia tradizionale, salvo casi di sistemi minuscoli e territori rurali, devi dare loro una prospettiva di crescita: se paghi le patate un euro al chilo gli devi garantire un acquisto di tonnellate”. Ma noi siamo un Gas, non un’azienda, è l’obiezione più comune. “Per me Aequos, che fa 1,6 milioni di euro di fatturato, deve essere un’azienda e il suo modello può essere esportato. Bisogna imparare a risolvere i nodi logistici, trasporti e magazzino, e a usare bene la tecnologia. Non è un problema economico -Aequos cede gratis la tecnologia e insegna a usarla-, è un problema mentale.

L’età media è piuttosto elevata e prevalgono gli over 50-60”. Le conclusioni, con accenti diversi, sono coerenti con quelle di Serventi: “Le cose funzionano se hai un’idea comune, ti poni degli obiettivi e li sai mettere in pratica in modo incisivo -conclude Ferrario-. I Gas sono stati avanguardia: hanno reso la società e la comunicazione permeabili ai temi del biologico e dei prodotti di prossimità, grazie a una drastica riduzione dell’intermediazione nella catena del valore (in Aequos conta per il 15%, ndr). Ma devono continuare a essere profetici e pensare in grande. Sennò alla fine arriva Cortilia”.

Un’altra nitida visione, da un altro punto di osservazione, è quella di Francesca Forno, professoressa associata al dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Trento, che ai gruppi d’acquisto solidali ha dedicato importanti ricerche. “Le forme di consumo critico collettivo, come i Gas, hanno contribuito a cambiare la cultura del cibo promuovendo il biologico, la filiera corta, la solidarietà tra consumatori e produttori. Se oggi abbiamo una strategia all’interno del Green Deal europeo che si chiama ‘From farm to fork’, lo dobbiamo anche ai movimenti del cibo”. Francesca Forno legge nell’esperienza dei Gas una “politica del quotidiano”: “In anni segnati da una bassa partecipazione, sono stati una palestra di democrazia, portatori di visioni e di pratiche individuali e collettive che sono andate ben oltre la spesa. Essere gasista è diventato per molti uno stile di vita e di impegno: spesso sono in prima linea in iniziative di educazione alimentare o all’interno dei consigli del cibo dove partecipano al disegno di una politica del cibo per le città”.

Se pur è vero che oggi il numero di Gas e di affiliati non sembra crescere più e i gruppi appaiono meno rivoluzionari, il questionario biennale commissionato a Swg sui consumi responsabili indica che nel 2024 i Gas hanno “tenuto”, anzi hanno dato segni di ripresa. Chi partecipa appare però spinto da ragioni in parte diverse da quelle del recente passato, come la ricerca della qualità del prodotto. Sono segni dei tempi, come l’usurpazione della narrazione del cibo sostenibile da parte dei grandi player della produzione e della distribuzione del cibo. “I Gas restano una delle esperienze più vitali e creative di questi 30 anni -ribadisce Francesca Forno- perché non si tratta solo di una pratica di consumo critico organizzato ma della prefigurazione di una società più giusta.

I Gas sono nati per questo e sono stati a loro volta generativi: l’energia del ‘movimento’ non si è esaurita, piuttosto ha gemmato, producendo forme quali le Csa, le Foodcoop (come Edera: l’emporio di comunità a Trento nato sull’esempio della Foodcoop Camilla di Bologna), i mercati contadini liberi, commisurati ai bisogni locali, le comunità energetiche”. Oggi, in tempi di policrisi, la sfida sembra proprio quella di rendere il cibo buono disponibile per tutti, invece di sfamare i poveri con gli avanzi dei ricchi. “Mi sembra di grande interesse il concetto dei ‘corridoi di consumo’, ovvero politiche che consentano a ogni individuo una buona vita e un buon cibo, disincentivando i consumi eccessivi al fine di garantire a tutti l’accesso a un livello sufficiente di risorse. Una mozione politica che è nelle corde dei Gas: ad esempio, combattendo la ‘gentrificazione alimentare’ e chiedendo nei tavoli di lavoro che i Comuni creino mercati ‘di base’ in periferia”.

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